L’oggetto a-rtistico e i quattro discorsi

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Attualità Lacaniana n° 7-2008

Franco Angeli editore, 2008

È interessante notare come tutti coloro che si propongono
di liberare la pittura dai discorsi sulla pittura,
ad esempio, non fanno altro che parlarne.
Non ci troviamo tuttavia di fronte a una contraddizione.
L’arte in sé è la parte muta in eterno, di cui si può in eterno parlare.
(Willem De Kooning, Ciò che l’arte astratta significa per me)

L’interpretazione dell’opera d’arte come oggetto (a) implica una sua possibile lavorazione con la teoria dei quattro discorsi. La cosa da stabilire è a quale discorso l’opera d’arte è riconducibile e se può assumere differenti valenze in diversi discorsi. Il discorso del padrone, dove l’oggetto (a) è nella posizione riservata alla produzione, è il ri-ferimento più diretto e lineare per una lettura dell’arte intesa come sublimazione. Nel corso del Novecento gli oggetti d’arte si sono tuttavia resi sempre meno leggibili e riconducibili al con-cetto di sublimazione. L’utilizzo della teoria dei discorsi per la lettura di tre templi, esempi tratti dall’arte contemporanea, permette di svilupparne le conseguenze e le implicazioni. Collocare l’oggetto opera d’arte nello schema quadripode, individuando se ricopre il luogo della produzione o il luogo del sapere o altro, permette di evidenziare quale sia la sua utilità sociale, vale a dire cosa l’opera d’arte pacifica.

L’opera d’arte come oggetto (a)

Jacques-Alain Miller in un breve testo, resoconto di un suo intervento alla prima serata del seminario della biblioteca dedicato al libro di Joyce con Lacan “Les psychoses et le sinthome”, fornisce alcune indicazioni su come considerare l’opera d’arte, affermando chiaramente: “L’arte deve essere messa, nella psicoanalisi, nel registro della produzione, cioé prima di tutto – ed è nella letteratura che è più problematico – a titolo di oggetto”. (1)
È un’indicazione che implica chiaramente la teoria lacaniana dei quattro discorsi, articolata nel Seminario XVII.(2) Il riferimento alla produzione indica esplicitamente uno dei quattro posti costituenti lo schema quadripode che sta alla base di tale teoria. Indica cioè il posto della produzione come quello pertinente all’oggetto opera d’arte, posto che nel corso dello stesso seminario assume anche altre denominazioni, produzione, per-dita, scarto e resto, una serie di quattro che a ben vedere costituisce lo spettro di definizioni impiegate da Lacan per la definizione dell’oggetto (a). In buona sostanza Miller indica che l’opera d’arte è interpretabile come oggetto (a).
Questo fondamentale concetto della produzione teorica lacaniana, nella sua essenza, non è che una lettera. Una lettera che ha la funzione centrale di menzionare un problema non risolto. L’oggetto (a) designa cioè un impossibile, un punto di resistenza allo sviluppo teorico. Grazie a tale notazione Lacan riesce ad oltrepassare il reale, rappresentandolo con una lettera. L’oggetto (a), la principale invenzione teorica di Lacan, serve quindi a nominare un impossibile, impossibile a dire, impossibile ad essere rappresentato, oggetto reale causa di godimento. Ne consegue che la sua definizione non può che essere posta ed esplicitata che per appros-simazione, cioè per estenuanti tentativi di definizione concentrici che caratterizzano il percorso analitico. Fondamentalmente l’oggetto (a) non si sa bene cosa sia e per questo se ne fa un gran parlare.
Ma il testo di Miller non si limita ad accennare ai quattro discorsi l’incidentale indicazione citata. Lo fa in modo molto più esplicito poche righe più avanti, dove afferma: “Se, in quanto oggetto, non è interpretabile, non è meno inquadrabile in rapporto a delle coordinate di discorso, e niente impedisce di localizzarlo a partire dai termini del significante-padrone, del sapere, del soggetto”.(3)
Troviamo qui una sorta di punto di arresto dove l’opera d’arte è interpretabile come oggetto(a), ma dove l’oggetto (a) non è interpretabile. Ne consegue che l’opera d’arte, presa come oggetto (a), non è interpretabile. A ben vedere è esattamente quello che più volte ci viene indicato sia da Freud che da Lacan. L’interpretazione psicoanalitica dell’opera d’arte si traduce essenzialmente in una sua spogliazione, una sua riduzione alla rappresentazione della patologia caratterizzante un determinato autore. Sappiamo che una tale via non fornisce niente di utile né alla psicoanalisi né all’estetica.

La preziosa indicazione di Miller ci fornisce anche l’unica via di sviluppo possibile per uscire da questa empasse.
È nell’applicazione della teoria dei quattro discorsi che possiamo localizzare l’opera d’arte non tanto come luogo eminente di una rappresentazione patografica soggettiva, ma come luogo necessario e strutturante la teoria dei discorsi. Vale a dire che l’opera d’arte viene ad esprimere una produzione simbolica funzionale ad un discorso. La cosa da stabilire è a quale discorso l’opera d’arte è riconducibile e se può assumere differenti valenze in diversi discorsi. Ciò vuol dire che una volta compreso in quale punto si colloca l’opera d’arte all’interno dei discorsi verremo a trovare anche quale sia la sua utilità sociale. In definitiva cosa l’opera d’arte pacifica.
L’indicazione di Miller fa chiaro riferimento, come già evidenziato, al discorso del padrone. Sebbene questo – come dimostrato recentemente anche da Marie-Helene Brousse in un testo comparso su Lacanian Compass– sia il riferimento più diretto, è mia intenzione dimostrare, attraverso tre semplici esempi, come la permutazione dei discorsi possa fornire anche altre chiavi di lettura dell’arte e degli oggetti prodotti in tale ambito. Oggetti che nel corso del Novecento si sono resi sempre meno leggibili e riconducibili al concetto di sublimazione.

Tre opere contemporanee

Le tre opere che ho scelto per lo sviluppo dell’applicazione proposta sono state prodotte in tre ambiti di ricerca molto diversi fra loro: la Poesia Visiva, l’Arte Concettuale e la Body Art. Non è questo il luogo per una descrizione storica dei tre movimenti. Fornirò quindi di ognuna delle opere scelte dei semplici riferimenti che ci permetteranno di leggerle e utilizzarle ai nostri scopi.

Julien Blaine, poeta marsigliese nato nel 1942, ha inaugurato, con la pubblicazione del testo 13427 Poèmes Métaphysique (4) del 1986, una nuova forma di Poesia Visiva che giunge come evoluzione logica della ricerca ampia e approfondita realizzata nell’ambito della poesia sperimentale. Ricerca e proposta continuata poi con la pubblicazione di BIMOT del 1990. La nuova forma a cui Blaine giunge ci viene presentata come fondamentale e Blaine auspica venga accolta da tutti i poeti, non solo visivi, come una forma classica, accettata e sfruttata in tutte le sue innumerevoli possibilità.

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