Le ricerche verbo-visive italiane: Peculiarità e percorsi

Intervento alla

I Jornada Internacional de Poesia Visual: Pesquisa e Criação

Casa das Rosas – Espaço Haroldo de Campos de Poesia e Literatura / Universidade Estadual Paulista / Universidade de São Paulo

9-13 Novembre 2021

Intervento alla

I Jornada Internacional de Poesia Visual: Pesquisa e Criação

Casa das Rosas – Espaço Haroldo de Campos de Poesia e Literatura / Universidade Estadual Paulista / Universidade de São Paulo

9-13 Novembre 2021

Abstract IT

A partire dalla fine degli anni Cinquanta, si è aperta in Italia, come in altre parti del mondo, una stagione di ricerca artistico-letteraria culminata nella fondazione del Gruppo 70 nel 1963 e la coniazione della definizione di “Poesia visiva”, utilizzata poi a livello internazionale.
Numerosi artisti, in diverse aree del paese, hanno sviluppato ricerche parallele in quel campo espressivo definito da Adriano Spatola “Poesia totale”.
Nonostante le peculiarità dei diversi gruppi: napoletano, genovese e fiorentino, sono rintracciabili alcune linee di sviluppo comuni.
In particolare si possono indicare due filoni: uno incentrato sul recupero e sviluppo della calligrafia come mezzo di espressione singolare, fortemente connotato da una gestualità espressiva prossima alla pittura, riconoscibile in autori quali Martino Oberto, Luciano Caruso, Vincenzo Accame, Magdalo Mussio e altri.
L’altro filone, percorso in particolare dal gruppo fiorentino, ma che ha avuto notevoli influenze anche a livello internazionale, partendo dall’analisi critica della comunicazione di massa, sviluppa un linguaggio con forti componenti di critica politica e sociale, arrivando poi a stabilizzarsi in un vero e proprio stile, riconoscibile in autori quali Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Mirella Bentivoglio, Lucia Marcucci, Sarenco e altri.

Key-words
Poesia Visiva – Italia – Calligrafia – Mass media

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Abstract EN
From the end of the 1940s, a period of artistic-literary research began in Italy, as in other parts of the world, culminating in the founding of Gruppo 70 in 1963 and the coining of the definition of “Poesia Visiva”, which was then used to international level. Numerous artists, in different areas of the country, have developed parallel researches in that expressive field defined by Adriano Spatola as “Poesia Totale”.
In this development we can indicate two strands: one focused on the recovery and increase of calligraphy as a means of singular expression, strongly characterized by an expressive gesture, recognizable in authors such as Martino Oberto, Luciano Caruso, Vincenzo Accame, Magdalo Mussio and others.
The other trend, followed in particular by the Florentine group, but which has also had considerable influences at an international level, starting from the critical analysis of mass communication, develops a language with strong components of political and social criticism, recognizable in authors such as Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Mirella Bentivoglio, Lucia Marcucci, Sarenco and others.

Key-words
Poesia Visiva – Italy – Calligraphy – Mass media

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Prima di iniziare vorrei fare chiarezza sui termini che userò in questo mio intervento.
La definizione “Poesia Visiva” (di cui “Poesia Visual” è la traduzione letterale) potrebbe creare, a mio avviso, un po’ di confusione. In Italia con “Poesia Visiva” ci si riferisce, in particolare, alle sperimentazioni sviluppate dal Gruppo 70 nato a Firenze nel 1963, che hanno delle caratteristiche ben definite che cercherò di delineare in questo mio intervento, mettendone i risalto le differenze con le altre sperimentazioni verbo-voco-visive coeve.
Per questo motivo in questo mio intervento utilizzerò “Ricerche verbo-voco-visive” per riferirmi all’insieme di queste ricerche: Poesia Concreta, Poesia Visiva, Poesia Sonora, Nuova Scrittura, etc.; riservando la definizione “Poesia Visiva” solo all’esperienza nata a Firenze.

A partire dalla fine degli anni Quaranta, si è aperta in Italia, come in altre parti del mondo, una stagione di ricerca artistico-letteraria che possiamo definire verbo-voco-visiva.
In questo grande filone possiamo far confluire le ricerche espresse dal Lettrismo, dalla Poesia Concreta, dalla Poesia Sonora, dalla Poesia Visiva, etc.
In breve, per citare il famoso libro di Adriano Spatola, tutte quelle sperimentazioni che andavano, e vanno, “Verso la poesia totale”. (SPATOLA, 1969)
In Italia questa stagione si fa solitamente culminare nella fondazione del “Gruppo 70”, nel 1963, e nella successiva elaborazione del concetto di “Poesia visiva”, utilizzato poi anche a livello internazionale.

Se fino alla fine dell’Ottocento la poesia si fondava ancora sul significato espresso attraverso un uso dei significanti dettato da un approccio sostanzialmente musicale: metrico, tonico e fonico; con il Novecento questa prassi va in crisi. I poeti iniziano a interrogarsi sulla validità ed efficacia di questa tradizione e avviano una serie di sperimentazioni tese a trovare una nuova forma, una nuova struttura, per la poesia.
In questo sforzo di rinnovamento, per la prima volta, le parole vengono considerate, analizzate e sperimentate come una entità fisica in sé, dotata di diverse componenti: fonetica, grafica, etc.
Su di ognuna di queste componenti, a partire dal Futurismo, i poeti iniziano una sistematica, quasi scientifica, opera di analisi. Le parole vengono smontate, sezionate, nelle loro componenti materiche cosicché le lettere, la loro forma, il loro colore, la loro grandezza, la loro disposizione nello spazio della pagina, ma ben presto anche oltre di essa, divengono elementi imprescindibili per lo sviluppo delle nuove ricerche.

L’intento esplicito, che prosegue e sviluppa alcune traiettorie già avanzate da Futurismo e Dada, è quindi un radicale rinnovamento del linguaggio poetico al fine di renderlo più adatto ai tempi, più contemporaneo, più fruibile da una società in forte trasformazione industriale, culturale e sociale.

Per iniziare questo breve riassunto storico degli sviluppi italiani, senza addentrarci troppo negli apporti specifici delle avanguardie storiche, voglio però ricordare il ruolo che Carlo Belloli ha avuto per lo sviluppo delle ricerche verbo-voco-visive internazionali.

Esponente dell’ultima generazione di poeti legati al Futurismo, con i suoi “Testi-poemi murali” (BELLOLI, 1944) e le successive “Tavole visuali“ (BELLOLI, 1948), Belloli ha sostanzialmente anticipato la Poesia Concreta ed enunciato la teoria della “Poesia Visuale”.
A conferma dell’influenza esercitata dal poeta milanese sullo sviluppo della Poesia Concreta e Visiva, va ricordato che Belloli entrò in contatto a Roma con Emilio Villa e il brasiliano Waldemar Cordeiro già nel 1945 e che nello stesso anno incontrò anche Eugen Gomringer, anche lui presente per studio nella città eterna.
Del 1951 è invece la prima mostra in Brasile di Belloli, vale a dire un anno dopo dell’arrivo nel paese sudamericano di Emilio Villa ed un anno prima della fondazione del Gruppo Noigandres di Decio Pignatari e i fratelli Augusto e Haroldo De Campos. (ROLLI, 1994)

Nonostante questo precoce esordio, la Poesia Concreta si diffuse però in Italia solo verso la fine degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta.

Dobbiamo ricordare che dopo la seconda guerra mondiale il Futurismo è stato nel Bel Paese fortemente penalizzato dai suoi legami con il fascismo.
La sua spinta propulsiva e innovativa fu accantonata, se non addirittura rifiutata.
Il suo vitalismo, e la violenza intrinseca alla forte tensione dissacratoria, furono lette come irrispettose, se non addirittura responsabili (almeno in parte, date le posizioni interventiste espresse dal movimento) delle tragedie belliche.
In breve, parlare di Futurismo e dei suoi autori, in Italia, fu un tabù fino ai tardi anni Settanta.

Ciò nonostante alcuni intellettuali e poeti, soprattutto poeti, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, iniziarono a guardare a quelle sperimentazioni con grande interesse, sviluppando delle ricerche con chiari riferimenti al Futurismo, ed evidenziandone così la continuità di intenti.
In questa opera di riscoperta e valorizzazione assumono una notevole importanza gli studi critici di Luciano Caruso, che lo porteranno a fondare e dirigere una collana dedicata alle avanguardie storiche per l’editore Belforte di Livorno, e soprattutto, dal 1978, a curare la collana «Futurismo. Fonti delle avanguardie del 900» per la casa editrice S.p.E.S. di Firenze ove pubblicò, in copia anastatica, numerosi rari documenti.
Altro artista molto attivo nel recupero delle esperienze primo novecentesche fu Arrigo Lora Totino, allievo e sodale di Carlo Belloli, a cui si deve la messa in scena, a partire dai primi anni Settanta, di numerose serate con testi futuristi, oltre che di altre avanguardie storiche, e il fondamentale lavoro sulla poesia fonetica e sonora con la pubblicazione dell’antologia composta da sette dischi in vinile “Futura. Poesia sonora” per la Cramps Record di Milano nel 1978.

Ma c’è un’altra figura, non italiana ma che visse gli ultimi anni della sua vita in Italia, che ha esercitato una forte influenza sulle sperimentazioni verbo-voco-visuali internazionali: Ezra Pound.
Anche lui fortemente penalizzato nel secondo dopo guerra a causa dei suoi presunti legami con il fascismo, il poeta americano fu un riferimento estremamente importante sia per lo sviluppo della Poesia Concreta brasiliana (sappiamo che il nome Noigandres venne estratto proprio dai Cantos poundiani) e sia per lo sviluppo della poesia sperimentale italiana.

A questo proposito ricordiamo che Martino e Anna Oberto pubblicarono il numero zero della loro fondamentale rivista “Ana Eccetera” (1958-1971) in occasione dell’arrivo di Pound a Genova il 10 luglio 1958, subito dopo la scarcerazione, dedicandola interamente al poeta americano. Il numero conteneva infatti solo dei brani del “Cantos 91” e del “Cantos 96” nella traduzione di Enzo Siciliano.
Il poeta americano visse poi in Italia, tra Rapallo, Merano e Venezia, fino alla fine dei suoi giorni divenendo un punto di riferimento per tutti i poeti italiani, sperimentali e no.
Questa sua influenza fu celebrata in un enorme progetto sviluppato dal collezionista ed editore Francesco Conz che organizzò, a partire dal 1987, una serie di incontri nel castello di Brunnenburg, residenza della famiglia Pound, che coinvolsero oltre sessanta poeti internazionali: da Bernard Heidsieck a Gerhard Rühm, dai fratelli De Campos a Josef Hiršal e Bohumila Grögerová, da Lawrence Ferlinghetti a Pierre e Ilse Garnier.

Attorno alla rivista degli Oberto, il cui numero 1 venne pubblicato a Genova nel 1959, e, contemporaneamente, presso “Il Portico”, sorta di circolo culturale operaio-studentesco fondato da Luigi Tola nella città ligure, iniziano le prime sperimentazioni poetiche di alcuni pionieri delle ricerche verbo-voco-visive italiane.
Dalla rivista “Ana Eccetera”, coordinata da Anna e Martino Oberto, nascono le successive esperienze di “Tool. Quaderni di scrittura simbiotica” (1965-1967) dei poeti Ugo Carrega, Lino Matti, Corrado D’Ottavi, Vincenzo Accame e altri.
Mentre nel circolo culturale “Il Portico”, nato pochi anni prima in Via Cantore a Sampierdarena, nascono ad opera di Luigi Tola le prime poesie murali, poesie destinate ad essere affisse ai muri delle fabbriche, delle scuole e delle università sull’esempio dei giornali di fabbrica e sindacali che utilizzano lo stesso metodo di diffusione.

Le poesie murali di Tola, la cui definizione rimanda direttamente alle esperienze di Belloli, sono da considerarsi a tutti gli effetti i primi esempi di ricerca verbo-voco-visiva in Italia. (vedi Figura 1)

Dopo l’esperienza de “Il Portico”, nel 1958 Luigi Tola fonda il “Gruppo Studio”, continuazione e sviluppo del gruppo precedente, dove confluiscono, oltre ad alcuni dei membri storici de “Il Portico” come Guido Zivieri, molti nuovi adepti, tra cui: Rodolfo Vitone e il giovanissimo Germano Celant.

Il sodalizio tra Tola e Vitone porta alla nascita di due riviste: “Marcatre” (1963-1970) e “Trerosso” (1965-1966). Riviste estremamente importanti, soprattutto la prima che ben presto, grazie alla direzione di Eugenio Battisti, diviene una delle riviste di letteratura ed arte italiane più influenti dell’epoca.
Il “Gruppo Studio” fonda anche un club d’arte: “La Caràbaga”, dove viene organizzata, nel 1965, quella che è forse la prima mostra collettiva di Poesia Visiva in Italia, oltre a numerose altre importanti e seminali iniziative, come la prima mostra italiana di Jiří Kolář .

Negli stessi anni, a Napoli, Mario Colucci e Guido Biasi, dopo un viaggio a Milano che pone le basi delle relazioni con il gruppo dei “nucleari” (Enrico Baj, Sergio Dangelo, Joe Colombo e altri), fondano il “Gruppo 58” (Biasi, Colucci, Lucio Del Pezzo, Bruno Di Bello, Sergio Fergola, Luigi Castellano alias Luca e altri). Un gruppo di artisti, a cui presto si avvicinano anche Stelio Maria Martini, Mario Persico e Mario Diacono, dando vita, a partire dal 1959, ad una serie di riviste d’avanguardia.

Le riviste d’artista, grazie ad una fitta rete di scambi e collaborazioni internazionali, messe oramai in luce da numerosi studi internazionali, giocarono un ruolo essenziale nella diffusione delle poetiche verbo-voco-visive. (MAFFEI; PETERLINI, 2005)

La prima rivista edita dal gruppo napoletano è “Documento Sud” (1959-1961), una delle riviste più interessanti del panorama artistico italiano dell’epoca, a cui partecipano, tra glia altri, anche Enrico Baj, Jean-Jacques Lebel ed Edoardo Sanguineti. Esperienza che confluisce poi nella rivista romana di Emilio Villa “EX” (1963-1968).
Al gruppo napoletano si devono anche numerose altre riviste tra cui: “Quaderno” (1962), “Linea Sud” (1963-1967), “Continuum” (1968-1970), “Continuazione A/Z” (1973), “Silence’s Weke” (1973), “Dettagli”.
Una serie di iniziative editoriali che, con l’edizione di “E/Mana/Azione” (1976-1981), arriva fino all’inizio degli anni Ottanta.

La rivista “Linea Sud”, in particolare, testimonia i contatti nazionali ed internazionali attivati grazie ad un fitto scambio epistolare tra i vari artisti culminati nel numero 2 dell’aprile 1965 dedicato alla Poesia sperimentale con interventi di: Adriano Spatola, Nanni Balestrini, Eugenio Miccini, Toti Scialoja, Lino Matti, Ugo Carrega, Lamberto Pignotti, Stelio Maria Martini, Luigi Tola, Mario Persico, Antonio Bueno, Giuseppe Chiari. I numeri successivi ospitarono invece contributi di Henri Chopin, Ilse e Pierre Garnier, Julien Blaine, Isidore Isou, Jacques Spacagna, Roland Sabatier e di Tadeusz Kantor che vi pubblicò il suo “Le Manifeste de Théatre-zéro”.
È in quest’ambiente che Stelio Maria Martini pubblica “Neurosentimental” (realizzato nel 1963 ma pubblicato dalle edizioni Continuum solo nel 1974), primo esempio di romanzo poetico-visuale o poema-collage, e inizia la sua attività Luciano Caruso.

Poco dopo, a Firenze nasce la “Poesia Tecnologica”, definizione coniata da Lamberto Pignotti in un articolo pubblicato a Milano sulla numero 2 della rivista “Questo e altro” del 1962.
L’anno successivo, Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci, Giuseppe Chiari, Luciano Ori, Antonio Bueno fondano il “Gruppo 70”, a cui aderirono successivamente anche altri artisti, che si dedica allo sviluppo di questo nuovo filone di ricerca che dal 1965, su proposta di Eugenio Miccini, adotta una definizione diversa, quella di “Poesia Visiva”, definizione che ebbe enorme successo e che finì per inglobare tutte le altre tendenze di ricerca che verranno qui delineate.
Sempre del 1965 sono le prime esposizioni del “Gruppo 70” alla galleria “La Vigna Nuova” e alla galleria “Numero” di Firenze.
Nelle mostre, oltre ai lavori degli esponenti del gruppo, sono esposti lavori di molti artisti legati a Fluxus: George Brecht, Dick Higgins, Philip Corner, John Cage, Yoko Ono, Wolf Wostell, Toshi Ichiyanagi, e Nam June Paik stabilendo così una relazione con l’arte performativa, gli happening e il teatro sperimentale fortemente radicata e duratura.

Per chiudere il breve excursus storico italiano, va assolutamente ricordato che nel 1971 nasce la rivista “Lotta Poetica” (Prima serie 1971-1975; Seconda serie 1982-1984; Terza serie 1987), fondata e diretta da Sarenco e Paul De Vree, con una redazione internazionale formata da autori sudamericani, europei e giapponesi.
Attorno ad essa si organizza il primo gruppo internazionale di poesia visiva con gli italiani Sarenco e Eugenio Miccini, i francesi Julien Blaine e Jean-François Bory, il belga Paul De Vree e lo statunitense Alain Arias-Misson che agiscono congiuntamente per la diffusione della poesia sperimentale. (PETERLINI, 2006)
Il gruppo, guidato da Sarenco, (ribattezzato negli anni Ottanta “Logomotives” e a cui aderisce anche il poeta Franco Verdi) ebbe una diffusa attività che andò, contrariamente ad altri gruppi italiani, ben oltre i confini nazionali.
L’azione propulsiva del gruppo facente capo alla rivista permise la diffusione del movimento a livello internazionale.

Dopo questo breve riassunto storico, dove emerge chiaramente uno sviluppo delle ricerche verbo-voco-visive italiane sostanzialmente acentrico, che non può essere ridotto alla sola Poesia Visiva fiorentina, vorrei entrare più nella specificità delle varie proposte mettendone in luce alcune peculiarità.

Per prima cosa voglio sottolineare che lo sviluppo delle sperimentazioni verbo-voco-visive italiane, segue un percorso parallelo all’introduzione in Italia del Lettrismo e della Poesia Concreta.
In particolare, per quanto riguarda la Poesia Concreta, pochi sono gli autori italiani che si confrontano con questa ricerca. Possiamo ricordare Arrigo Lora Totino, Mirella Bentivoglio e Adriano Spatola, che vi si dedicano ad iniziare dai primissimi anni Sessanta, in contemporanea quindi con il diffondersi delle altre ricerche fin qui esposte.
Ma al di là di queste esperienze, da subito è evidente che il percorso di sviluppo delle ricerche italiane parte da presupposti diversi e sfocia in proposte decisamente originali.

Il gruppo fiorentino, che grazie ai suoi legami con l’intellighenzia e l’editoria italiana prese in qualche modo il sopravvento divenendo il gruppo di punta di quesa stagione di ricerche, pose l’accento inizialmente sull’evoluzione della tecnologia e sull’impatto che questa evoluzione aveva sulla società e sulla comprensione della stessa.
In prima battuta, come abbiamo visto, venne infatti proposta una “Poesia tecnologica”: una forma di poesia in grado di utilizzare le nuove forme di linguaggio mass-mediatico, reso sempre più pervasivo da strumenti tecnologici come la radio, la televisione, il cinema, i rotocalchi, etc. Questo linguaggio squisitamente propagandistico, teso a promuovere un determinato prodotto per renderlo desiderabile dal pubblico, venne ben presto adottato sia dal sistema di informazione che da quello politico.
La proposta messa in campo dal Gruppo 70, composto da artisti di diversa formazione, quindi non un gruppo prettamente letterario, è quella di utilizzare e trasformare tale linguaggio in modo da alterarne la funzione (da persuasiva a poetica) usando, se possibile, gli stessi mezzi tecnologici di produzione e diffusione.
La “Poesia Tecnologica” si presenta quindi, al suo inizio, nella tipica forma del collage che permette all’artista (ricordo ancora che il gruppo non era formato da soli poeti) di prelevare e trasformare il linguaggio confezionato dai mass-media, mettendo in atto quella che all’epoca veniva definita “guerriglia semiologica”.

Come ci ricorda Gillo Dorfless in un testo per una catalogo del 1979 (DORFLESS, 1979), la Poesia Visiva costituiva un fenomeno autonomo a sé stante essenzialmente per tre motivi:

1 – Perché aveva realizzato un accordo, un legame osmotico, con i prodotti dei mass media (giornali, rotocalchi, pubblicità, ecc.) come punto di partenza della sua reazione

2 – Perché privilegiava l’aspetto iconico (l’immagine, nelle sue diverse espressioni: figure, ritratti, squarci di cronaca illustrata, ecc.) su quello grafico-tipografico

3 – Perché mirava sempre a raggiungere un risultato visivamente efficace: nel senso di solito perseguito dalle arti visive più che da quelle letterarie

Questi aspetti portano le ricerche verbo-voco-visive italiane in un ambiente eso-letterario, staccandosi dalle esperienze sviluppate fino a quel momento in ambito concretista che facevano ancora riferimento al solo ambiente letterario.

È innegabile che già con il Lettrismo e poi con la Poesia Concreta l’aspetto visuale del linguaggio sia stato messo in primo piano. Ma è solo con le ricerche verbo-voco-visive italiane, come giustamente sottolineato da Dorfles (sebbene il suo riferimento nel testo sia alla sola Poesia Visiva), che il riferimento alla letteratura viene messo in crisi. É in queste ricerche che avviene il definitivo stroppo con l’ambito letterario portando la poesia ad abbandonare il libro come suo unico mezzo di diffusione e consacrazione. Sebbene lo sfondamento verso l’azione, la performance si sia già in qualche modo verificato, sia nelle avanguardie storiche che nella successiva poesia sonora, è con le ricerche verbo-visive italiane che si approda al quadro, all’istallazione in una forma non puramente decorativa come quella perseguita, ad esempio, in ambito letturista con le opere ipergrafiche.

Le proposte avanzate in Italia abbandonano l’idea della poesia “in forma di”, vale a dire dell’utilizzo delle parole per creare delle immagini o delle suggestioni iconiche, ma assumono l’immagine come elemento da utilizzare allo stesso livello della parola. Sono quindi parole e immagini che si integrano, si fondono in una struttura significante alla cui base c’è la singlossia.
Per singlossia s’intende l’incrocio del linguaggio visivo e del linguaggio verbale per cui l’uno dei due linguaggi non può essere interpretato senza la decodificazione del contesto. La singlossia insita in queste ricerche costituisce, di fatto, la più radicale rivoluzione delle poetiche del ventesimo secolo. La scoperta della singlossia elimina la possibilità di una verifica al di fuori dell’area semiologica: ogni interpretazione prevalentemente visiva o verbale, non tenendo conto dello specifico della singlossia, è totalmente negativa ai fini di una verifica della poesia verbo-voco-visiva come scoperta di un linguaggio totalmente nuovo. Con le ricerche verbo-voco-visive nasce qualcosa di assolutamente inedito, che risponde appieno alla definizione di Intermedia proposta da Dick Higgins nel 1965. Non è un caso che nella sua famosa “Intermedia Chart” queste ricerche appaiano con il nome di “Poesia Visiva”, in italiano, contrariamente a tutte le altre definizioni in inglese, e in un insieme distinto da quello della Concrete Poetry, della Sound Poetry, dei Visual Novels o degli Object Poems. Scelta, tra l’altro, che testimonia anche, come già ricordato, l’enorme successo della definizione proposta da Miccini, (vedi Figura 2)
Ciò detto, entriamo più nello specifico dei percorsi italiani.
Nonostante le peculiarità dei diversi gruppi: napoletano, genovese e fiorentino, nei percorsi di ricerca verbo-voco-visiva italiana sono rintracciabili alcune linee di sviluppo comuni.
In particolare si possono indicare due filoni principali che, è bene ricordarlo, non sono mai in netto contrasto o antagonismo ma, al contrario, si sono sviluppati parallelamente con significative intersezioni.

Il primo filone è incentrato sul recupero e sviluppo della calligrafia come mezzo di espressione singolare, fortemente connotato da una gestualità espressiva prossima alla pittura, riconoscibile in autori quali Martino Oberto, Luciano Caruso, Vincenzo Accame, Magdalo Mussio, Emilio Villa e altri. (vedi Figura 3)

In esso il segno (alfabetico) perde la sua forma dando sempre più spazio ad una scrittura gestuale che si destruttura in puro gesto.
Questo percorso sembra parallelo a quello sviluppato dalla pittura informale segnica, da artisti quali Georges Mathieu o Hans Hartung in cui il linguaggio pittorico lascia sempre più spazio ad una gestualità intima, personale, su cui viene riversata tutta la forza espressiva del lavoro. Parallelamente, nelle opere dei poeti il linguaggio codificato lascia spazio al gesto incodificabile.
La materia assume un ruolo sempre più decisivo evidenziando questo dialogo serrato con le coeve sperimentazioni materiche in ambito pittorico.
Sia il supporto scelto che la materia utilizzata per la scrittura ampliano lo spettro interpretativo dell’opera stessa divenendone un elemento centrale.
La destrutturazione del linguaggio avviene attraverso i processi di miniaturizzazione o di ingrandimento della scrittura manuale che sfocia inevitabilmente nell’irriconoscibile, nell’illeggibile.

In questo primo filone, per il quale si è oramai consolidata la definizione di “Nuova scrittura” proposta da Carrega, possiamo riconoscere principalmente due tendenze.
La prima è ben rappresentata dal lavoro di Martino Oberto in cui la scrittura chirografica si decompone, si sfalda, perde la sua forma di segno linguistico stabile per divenire sempre più un gesto pittorico libero. (vedi Figura 4)

L’altra tendenza è invece espressa dal lavoro di Vincenzo Accame o Magdalo Mussio, in cui la scrittura si aggruma, si compatta, si compone in immagini, anche astratte, ma salvaguarda la propria stabilità di segno.
Segno che perde la leggibilità solo perché sempre più minuto, ma il cui gesto (di scrittura) è invece molto controllato e meditato. (vedi Figura 5)

Questo primo filone di “nuova scrittura” è caratterizzato, come accennato poco sopra, da una particolare sensibilità alla materia che assume un ruolo estremamente importante. A questo proposito emblematico il lavoro di Luciano Caruso dove l’uso della materia testimonia di una sensibilità tipicamente italiana espressa nello stesso periodo da altri autori come, ad esempio, Alberto Burri. (vedi Figura 6)

Il secondo filone, percorso in particolare dal gruppo fiorentino (che ha avuto notevoli influenze anche a livello internazionale), parte dall’analisi critica della comunicazione di massa e sviluppa un linguaggio con forti componenti di critica politica e sociale, arrivando poi a stabilizzarsi in un vero e proprio stile, riconoscibile in autori quali Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lucia Marcucci, Sarenco e altri.
Questo secondo filone coincide di fatto con la definizione di “Poesia Visiva” a cui ho fatto riferimento all’inizio del mio intervento. (vedi Figura 7)

Le opere di questi autori sono caratterizzate dalla salvaguardia del segno linguistico che rimane sempre leggibile (salvo rari casi) prediligendo la forma stampata, sia come prelievo collagistico, sia con l’uso di letraset o normografi, sia nella non rara scrittura manuale.

Come abbiamo visto, l’elemento che contraddistingue questa ricerca è però l’uso dell’immagine affiancata alla scrittura, non in modo sommatorio o didascalico, ma in una vera e propria tensione significante. Anzi addirittura con lo stesso valore, offrendo così al fruitore un vero e proprio rebus in cui lettere e immagini vanno poste sullo stesso piano e lette simultaneamente. È in questo ambito che Rossana Apicella, già nei primi anni Settanta, introduce la già citata figura retorica della singlossia (APICELLA, 1973) che io propongo di utilizzare nella lettura di tutta la produzione verbo-voco-visiva.

Le immagini utilizzate sono sempre immagini note e sfruttate dai mass media, siano esse provenienti dalla cronaca, dalla pubblicità o dalla storia dell’arte.
Questo permette una fruibilità popolare, trasversale delle opere e un accesso immediato ai messaggi veicolati dall’opera, spesso, nei primi anni, di carattere politico e sociale.
Questo filone elabora un percorso meno personale ed intimo proponendosi al contrario come percorso di interpretazione e critica della società. (vedi Figura 8)
Le opere si presentano quindi spesso come interventi contingenti, in presa diretta sul contemporaneo. Aspetto questo che indebolisce alcune opere di questo filone legate troppo ad un determinato momento storico.
Le opere che sono invece riuscite a svincolarsi da questo limite, si ergono a veri e propri emblemi. Vale a dire che riescono a condensare un’idea, un concetto in modo estremamente efficace e atemporale. (vedi Figura 9)

La specificità della Poesia Visiva risiede quindi nella consapevolezza del cambio di paradigma avvenuta nella comunicazione umana. Un passaggio che segna il progressivo abbandono della retorica, intesa come raffinata eloquenza, come bello scrivere e bel parlare, in favore della laconicità disadorna dello slogan, con il conseguente impoverimento del lessico e una sempre maggiore pervasività delle immagini.
Un cambio iniziato proprio negli anni Cinquanta e di cui vediamo (e viviamo) le conseguenze nell’attuale enorme sviluppo della comunicazione social.

Bibliografia

APICELLA, Rosanna, Proposta per il decennio, in Lotta Poetica no. 28/31 del Sett./Dic. 1973, MIlanino sul Garda, Amodulo, 1973
BELLOLI, Carlo, Testi-poemi murali, MIlano, Edizioni Erre, 1944
BELLOLI, Carlo, Tavole visuali, Roma, Edizioni Gala, 1948
DORFLESS, Gillo, Untitled, in DORFLESS / FAGONE / MENNA / MIGLIORTINI / ORI, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1979
MAFFEI, Giorgio; PETERLINI, Patrizio, Riviste d’arte d’avanguardia. Gli anni Sessanta e Settanta in Italia, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005
PETERLINI, Patrizio, Sarenco: le riviste, la lotta. Storia di un esploratore dell’avanguardia, Verona, Nomadnomad, 2006
ROLLI, Paola, Anglo-American concrete and visual poetry, MIlano, Tesi di laurea in lingue e letterature straniere Facoltà di Lettere, I.U.L.M., 1994
SPATOLA, Adriano, Verso la Poesia Totale, Napoli, Rumma editore, 1969