Il Colpo di Glottide

Intervento presentato al convegno internazioonale:

“Expérimentation et avant-gardes. L’oeil ébloui de Noëmi Blumenkranz-Onimus et Luciano Caruso”

6-7 Ottobre 2022

Campus Carlone, NIce

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Il colpo di Glottide è stato un festival di poesia sonora organizzato da Luciano Caruso, in collaborazione con Henri Chopin, al Teatro Affratellamento di Firenze nell’aprile del 1980.
Il Festival si svolse dall’8 al 13 aprile con due spettacoli al giorno, alle ore 18:00 e alle ore 21:00.
Sei giorni a cui parteciparono alcuni dei maggiori protagonisti della poesia sonora internazionale, ad iniziare da Henri Chopin, Bernard Heidsieck, Gerhard Rühm, Arthur Pétronio, Dick Higgins e altri.

La Poesia Sonora interessa Caruso già da molti anni.
Tra il 1972 al 1974, dedica al tema una serie di fascicoli, dal titolo “Poesia Sonora”, forse una piccola rivista, pubblicati quasi sempre in occasione di conferenze dedicate all’argomento tenute da Caruso in diverse gallerie napoletane.

Prima di addentrarci nei dettagli di questo importante festival, il secondo dedicato alla poesia sonora ad essere organizzato in Italia, vorrei ricordare alcuni avvenimenti degli anni precedenti che evidenziano il crescente interesse per la poesia sonora, sia in Italia che all’estero.
Mi avvalgo qui della cronologia che ho messo a punto assieme a Giovanni Fontana per la mostra “La Voix Libérée” che ho curato assieme a Eric Mangion al Palais de Tokyo nel 2019.

Sappiamo che la poesia sonora, così come la intendiamo oggi, nasce alla fine degli anni Cinquanta come evoluzione delle sperimentazioni fonetiche delle avanguardie storiche permesse dai primi magnetofoni, entrati in commercio proprio in quegli anni.

I primi anni Sessanta vedono lo schiudersi delle attività di alcuni pionieri come: Henri Chopin, Bernard Heidsieck, Bob Cobbing, Ake Hodell, Ernst Jandel, Sten Hanson, Bengt Emil Johnson (gli ultimi quattro diedero vita nel 1967 al centro Fylkingen).

Negli ultimi scorci del decennio, invece, avviene l’organizzazione dei primi festival dedicati a questa nuova forma di espressione poetica.
Da ricordare in particolare:

il Primo “Festival Text-Sound” a Stockholm (organizzato dal Gruppo Filkyngen);

e la nascita del “Giorno Poetry Systems Institute”, a New York, entrambi nel 1968;

la “Exposition Créer. Exposition audio-visuelle de poétique syngraphique expérimentale”, organizzata da Arthur Pétronio tra Avignon e Montpellier nel 1969

e il Festival “1.ra audición de poesia fónica” a Médanos, in Argentina, nel 1969, organizzato da Clemente Padin.
Attività queste che testimoniano anche della grande estensione e vivacità della rete di comunicazione alternativa attivata dai poeti sperimentali di tutto il mondo grazie alle collaborazioni incrociate alle varie riviste di esoeditoria.

Tornando all’Italia, gli anni Settanta si aprono con la prima edizione di poesie sonore su cassetta. È del 1970 infatti la serie di 4 audiocassette “Amodulo Poesia Sonora” curate da Paul De Vree e Sarenco. Prima collaborazione tra i due poeti che daranno vita l’anno successivo alla famosa rivista “Lotta Poetica”
Tra il 1972 al 1974 si colloca l’attività di Caruso con i già ricordati fascicoli “Poesia Sonora”, mentre nel 1978 Arrigo Lora Totino edita la mitica antologia “Futura. Poesia Sonora”, pubblicata dalla Cramps records e composta di 7 vinili. L’antologia suscitò un notevole interesse tanto che la trasmissione “Fonosfere”, ideata e curata da Armando Adolgiso e Pinotto Fava per la Rai Radio Uno, dedicò alla poesia sonora numerose trasmissioni. Ma su questo argomento tornerò più tardi.

Sempre nel 1978, Adriano Spatola e Ivano Burani fondano l’audio-rivista “Baobab. Informazioni fonetiche di poesia” che uscirà in forma di audiocassette per ben 28 numeri fino al 1996.

Nel 1979, invece, viene organizzato il primo festival Polyphonix (1-3 giugno 1979 all’American Center di Parigi). Festival che dalla quarta edizione venne accolto al Centre Pompidou decretando così l’entrata della poesia sonora nei circuiti museali internazionali.

Nel settembre dello stesso anno, Adriano Spatola e Giovanni Fontana organizzano a Fiuggi il Festival “Oggi Poesia Domani”, primo festival dedicato alla poesia sonora a svolgersi in Italia.

Arriviamo così al 1980, anno in cui nascono i “Rencontres Internationales de Poésie Sonore” organizzati da Bernard Heidsieck e Michelle Métail.

Questa breve e parziale rassegna vuole solo evidenziare come l’attività di Luciano Caruso sia sempre stata molto attenta ai nuovi fenomeni estetici, in particolare in ambito poetico, e che la sua attività di organizzatore e di intellettuale, si sia sempre svolta in presa diretta sul “contemporaneo”, anche quando si è dedicato agli studi storici delle avanguardia.

Veniamo quindi al Festival “Il colpo di glottide”
Partiamo dal titolo.
“Il colpo di Glottide” fa un chiaro riferimento all’apparato fonatorio umano.
La glottide è infatti il segmento intermedio della laringe in corrispondenza delle corde vocali che, in base alle varie posizioni assunte dalle corde vocali stesse, modifica la colonna d’aria dando così luogo a diversi modi di fonazione. La glottide concorre esclusivamente alla produzione vocale. È quindi un organo specifico.
Per colpo di glottide poi s’intende un preciso suono, l’occlusiva glottidale sorda, indicato con un punto di domanda nell’alfabeto fonetico internazionale, che si produce, ad esempio, nelle parole inglesi “button” o “bottle”.

Questa scelta è a mio parere da prendere in seria considerazione.
Se analizziamo il titolo dell’altro famosissimo coevo festival internazionale di poesia: “Polyphonix”, ci rendiamo conto immediatamente che la scelta di Caruso segna una precisa presa di posizione e, in qualche modo, determina anche un programma di sviluppo.

“Polyphonix” infatti mette assieme tre concetti.
Quello della pluralità, poli ,
Quello della phoné, quindi della voce ma anche del suono o del rumore prima della sua articolazione in un linguaggio,
E, terzo, quello della fenice, Phœnix, il mitico animale che rinasce dalle proprie ceneri.
Polyphonix è quindi un titolo che apre, che comprendere tutti i tipi di sonorità e che mette in conto anche una sorta di azzeramento e rinascita.

“Il colpo di glottide”, invece, restringe il campo alla sola produzione fonatoria umana, escludendo in modo allusivo, o se non escludendo riducendo di molto, l’importanza delle manipolazioni magnetofoniche ed elettroniche del suono, e tracciando un filo diretto di sviluppo con le avanguardie storiche. Ma allo stesso tempo, si spinge anche oltre, più indietro, verso gli aedi, i bardi e i griot.
Vale a dire che mette in primo piano l’oralità come suo elemento fondante, al posto dell’utilizzo delle “nuove tecnologie magnetofoniche” come invece sostenuto dai poeti sonori a lui coevi, in particolare francesi.

In breve: per Caruso la poesia sonora comprende la poesia fonetica, mentre per gli altri poesia fonetica e poesia sonora sono due ambiti distinti, sebbene legati da una certa forma di parentela.

Possiamo dire che Caruso non cede alla seduzione della tecnologia ma rimane fedele alle basi materiali, “materiche” della poesia. Discorso che vale per quasi tutta la sua produzione in cui la matericità gioca un ruolo centrale.

Questa scelta, questa presa di posizione, a mio avviso nasce dai suoi studi delle avanguardie storiche, in particolare del Futurismo. Non va dimenticato infatti che proprio in quegli anni, tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, Luciano Caruso era impegnato nella raccolta e ri-edizione di tutti i manifesti teorici futuristi, oltre che di molti altri documenti e libri futuristi tra cui la “Poesia pentagrammata” di Francesco Cangiullo.

Questa impostazione filologico-storica caratterizza anche una parte del programma del festival, definito in collaborazione con Henri Chopin, che invece sostiene e sviluppa nel programma la diversa visione proposta dai francesi.
In realtà non c’è nessun documento che avvalori questa mia idea. Ma mi piace pensare che il programma si sviluppi quasi come un botta e risposta tra Caruso e Chopin.
Questo botta e risposta non è da intendere come una sorta di conflitto polemico ma piuttosto come un gioco a rimpiattino tra i due organizzatori.

Il festival si apre infatti alle ore 18 con “La declamazione dinamica e sinottica” di Marinetti e alcune letture da “Piedigrotta” di Francesco Cangiullo. Continua poi alle ore 21 con le performance di Chopin e Heidsieck e la tavola rotonda di presentazione del libro “Poesie Sonore Internationale” di Henri Chopin appena pubblicato e a cui partecipano, oltre l’autore, lo stesso Caruso, Eugenio Miccini, Bernard Heidseick e Arrigo Lora Totino.

Voglio sottolineare che la prima parte del libro di Chopin prende il titolo di “Tântonnements avant 1950” (che possiamo tradurre come avanzamento a tentoni, quindi per tentativi ed errori) che non solo sposta la data d’insorgenza dei primi esperimenti di poesia sonora al secondo dopo guerra, ma che inoltre il libro, nella sua impostazione generale, dona pochissimo spazio al Futurismo dedicando invece oltre trenta pagine alla “History of recorded sound” mettendo così l’accento sulla tecnologia di registrazione e manipolazione del suono.

La prima giornata sembra quindi quasi presentare queste due diverse posizioni come in una sorta di preludio a tutto il festival.

Il giorno successivo, sempre alle 18, il festival propone un nutrito programma di letture futuriste dal titolo “Serata futurista a sorpresa” a cui segue, allo spettacolo delle 21, la presentazione di alcune proposte italiane contemporanee con le performance di: Miccini, Lora Totino e Sergio Cena e la partecipazione di Mimmo Rotella, di cui si annuncia il titolo “Disco”, forse l’ascolto del disco “Poemi fonetici” pubblicato nel 1975 dalla Plura Edizioni.
Il duo Lora Totino e Cena presenta una serie di mimodeclamazioni, chiaramente in chiave cabarettistica, che termina con una memorabile battaglia di mele tra pubblico e Cena. Il loro intervento sottolinea nuovamente la continuità con le esperienze avanguardiste.

Queste due prime serate, per lo meno la prima parte della prima giornata e l’intera seconda, sono quindi, a mio parere, una specie di tributo di Caruso al Futurismo a cui viene riconosciuto una sorta di primigenia.
Sono infatti le sperimentazioni futuriste a scardinare le rigide regole che hanno caratterizzato la poesia (e la letteratura) fino alla fine dell’Ottocento e permesso il prodursi di tutte quelle nuove forme di poesia che hanno caratterizzato la seconda parte del XX secolo.
Quindi il Futurismo come punto di partenza, imprescindibile, ma poco conosciuto e che necessita di una riscoperta. Opera in cui Caruso s’impegna a fondo, tanto che in un articolo di recensione del festival a firma Maria Papi apparso su Critica Sociale Anno LXXIII n. 8, del 22 aprile 1980, Luciano Caruso viene definito: “futuristologo di fama, l’unico e dunque il top, il primo in Italia”. definizione che, al di là dell’iperbole, coniuga assieme il futurismo e la futurologia inventando questa nuova figura professionale, il futuristologo appunto, che basandosi su qualcosa di passato, il futurismo, esplora i futuri, possibili, probabili e preferibili. Qualcosa di molto patafisico direi. Credo che Caruso si sia divertito nel leggere l’articolo.

Per inciso, è da sottolineare che anche l’antologia “Futura” di Lora Totino propone la stessa tesi.
Infatti i primi due dischi, su un totale di 7, sono dedicati al Futurismo: italiano il primo e russo il secondo.

La terza giornata è leggibile come la risposta di Chopin.
Infatti essa propone, alle 18, un programma dedicato al Cabaret Voltaire, a cui Chopin dedica ampio spazio nel suo libro “Poesie Sonore Internationale”, con l’esecuzione della “Ur-Sonate” di Schwitters da parte di Giuliano Zosi.
Mentre alle 21 si alternano le performance di Arthur Pétronio, Leo Küpper e Gerhard Rühm.
Vale a dire che alla serata partecipano due musicisti elettronici (Zosi e Küpper) e due autori impegnati a coniugare la musica e la poesia (Rühm e Pétronio), in particolare Pétronio con la sua Verbophonie, molto prossima nei suoi sviluppi alla musica elettronica.

Lo spettacolo delle 18 della quarta serata vede in programma, oltre a Michelle Métail, ben 2 musicisti sperimentali: Marc Battier (co-fondatore con Leigh Landy e Daniel Teruggi dell’Electroacoustic Music Studies Network di New York) e Pierre Mariétan (che proprio in quegli anni Settanta inizia a combinare musica composta, “musica dell’interno” come la definiva Mariétan, con suoni ambientali quotidiani, definita dall’autore “musica dell’esterno”, che sfocia nella composizione elettronica e radiofonica). Mentre lo spettacolo delle 21 vede l’intervento di Luciano Caruso, con “Balbettando Marx”, e la partecipazione di altri artisti, Cavicchioli, Giuliano Longone, Ciro Ciriacono, Maurizio Tiberti, che firmano anche le “Macchine poetiche” esposte nel foyer del teatro aprendo così anche il festival alle installazioni sonore.

La quinta giornata è completamente dedicata al Lettrismo, con la partecipazione di Jean-Paul Curtay, Roland Sabatier, Alain Satié e Gerard-Philippe Broutin. Terreno comune per entrambi gli organizzatori che riconoscono al movimento francese un ruolo centrale.
Da ricordare che Luciano Caruso entra in contatto con il gruppo Lettrista, in particolare con François Dufrêne, molto presto, già alla fine degli anni Cinquanta. Contatto che anticipa a quegli anni l’insorgere dell’interesse del poeta napoletano per la poesia sonora.

L’ultimo giorno il festival propone, per lo spettacolo delle 18: Dick Higgins Jean-Jacques Lebel e Roger Bérard, con un approccio più performativo, in particolare Lebel che fa accompagnare la sua lettura da dei musicisti e dallo spogliarello di una giovane donna.

Il festival si chiude con un grande omaggio ad Antonin Artaud con la lettura di “Totem Étrangle”, testo pubblicato 15 anni prima nel no. 2 di EX, la rivista curata da Mario Diacono, Emilio Villa, Jean-Jacques Lebel e Gianni Debernardi.
Il testo era accompagnato da un’estratto di una lettera di Artaud a Rodez commentata da Mario Diacono, in cui si può leggere che “On peut invéntaire sa langue et faire parlaire la langue pure avec un sens hors grammatical (..) Abbandoner le langage et ses lois pour les tordre et dénuder la chair sexuelle de la glotte d’ou sortent les âcretés séminales de l’âme et les plaintes de l’incoscient, est très bien, mais à condition que le sexe se sente comme un orgasme d’insurgé , éperdu, nu, utérin, piteux aussi, naïf, étonné d’être réprouvé(..)”.
[Si può inventare il proprio linguaggio e far parlare il linguaggio puro con un senso non grammaticale (..) Abbandonare il linguaggio e le sue leggi per distorcerle e mettere a nudo la carne sessuale della glottide da cui provengono le acredini seminali dell’anima e le lamentele di l’inconscio, va bene, ma a condizione che il sesso sembri l’orgasmo di un ribelle, sconvolto, nudo, uterino, anche pietoso, ingenuo, stupito di essere condannato.]
Questa lettera ci riporta quindi, con questo accenno alla glottide, al titolo del festival e chiude il cerchio di questa manifestazione ritornando a mettere in valore l’aspetto pulsionale, preverbale del linguaggio come fonte “materiale” della poesia sonora.

Dicevo all’inizio dell’interesse suscitato dal Festival.
All’Archivio Luciano Caruso è conservata una nutrita rassegna stampa dedicata all’evento, con articoli anche gustosi, come quello su Caruso “futuristologo” o sui “poeti comportamentisti” (Repubblica 10 aprile 80) dove le sperimentazioni poetiche divengono esperimenti di psicologia comportamentale, forse il giornalista ha confuso il movimento Futurista con l’approccio alla psicologia sviluppato da John Watson negli stessi anni d’inizio secolo….
Ma al di là degli strafalcioni, gli articoli sono spesso infarciti di citazioni marinettiane e dimostrano comunque l’interesse, non solo locale, che il festival ha suscitato.

Non è un caso quindi che due attenti autori radiofonici come Adolgiso e Fava, che avevano creato “Fonosfera. Segmenti, percorsi e dinamiche sonore in una proposta di laboratorio” nell’inverno ’78/’79, trasmissione che andava in onda con cadenza quindicinale al giovedì su Rai Radio Uno (alternandosi ogni settimana con “I pensieri di King Kong”, stessi curatori), dopo aver già ospitato Arrigo Lora Totino e il suo liquimofono in data 8 febbraio 1980, dal 1981 dedicheranno ampio spazio alla poesia sonora proponendo ascolti ed invitando in trasmissioni autori com Corrado Costa, Maurizio Nannucci, Vittore Baroni, Betty Danon, Adriano Spatola, e molti altri.

Nel frattempo, a partire dall’8 ottobre 1980 e per 13 puntate, va in onda, sempre su Rai Radio Uno, una trasmissione condotta da Arrigo Lora Totino dall’originalissimo titolo: “Il Colpo di glottide. La poesia sonora come riscoperta dell’oralità” che porta a compimento il programma del festival ma che segna anche il raffreddamento dei rapporti tra Caruso e Lora Totino, fino ad allora abbastanza intensi come testimonia il carteggio tra i due conservato all’Archivio Luciano Caruso, per la gran parte incentrato sulle rispettive ricerche sul Futurismo, che subisce un deciso diradarsi in seguito alle due lettere di ALT del maggio 1980 che accennano alla futura trasmissione radio e un possibile coinvolgimento, mai avvenuto, del poeta napoletano.

Ma al di là di questo, dai documenti conservati in Fondazione Bonotto inerenti la trasmissione (storyboard e registrazioni) emerge chiaramente la stessa impostazione che dona ampio spazio alle sperimentazioni Futuriste (le prime tre puntate) e alle avanguardie storiche (due puntate) a cui seguono un’intera puntata dedicata ad Antonin Artaud e un’altra al Lettrismo.
Un totale quindi di 7 puntate su 13.
Sottolineo, inoltre, che l’undicesima puntata dedicata ai contemporanei italiani per la prima metà ritorna sull’importanza del Futurismo nel discorso introduttivo, proponendo infatti l’ascolto di alcuni testi di Ettore Petrolini, notoriamente legato al movimento italiano.

Ma il punto centrale, per concludere questa digressione su ALT, rimane l’accento posto sull’oralità, anche nel titolo, più che sulla tecnologia di registrazione e manipolazione del suono.

In Caruso però questa impostazione, come già ricordato, non si limita all’oralità ma pone in primo piano la “fisicità”, termine che compare nel sottotitolo del catalogo a cui dedicherò questa parte finale del mio intervento.

Il catalogo curato da Caruso, finito di stampare nel marzo del 1980 e quindi disponibile durante il Festival, contiene gli interventi di Henri Chopin, Stelio Maria Martini e Laura Marcheschi, oltre naturalmente del poeta partenopeo.
Il volume dedica molto spazio alle avanguardie storiche, con la pubblicazione di numerose partiture e documenti, e propone anche contributi di autori che non hanno partecipato al festival, come Julien Blaine, Maurizio Nannucci, Pierre Garnier e il Gruppo Noigandres.

Il volume si apre con una “Nota a Margine” di Caruso in cui l’artista scrive:
“Sia chiaro, d’altra parte, che con questo discorso non si vuole negare l’originalità degli autori contemporanei, sempre più interessati alla creazione di un vero e proprio “genere” ma va detto anche che questa originalità non può emergere dalla negazione partigiana di un retroterra così massiccio, né da improbabili e contingenti innovazioni tecniche, che la scienza e l’industria hanno messo a disposizione degli artisti negli ultimi trent’anni.
Anche qui si tratta di consapevolezza e la differenza va cercata in direzione della maggiore importanza data al corpo e alla fisicità a partire da Artaud in poi, di contro all’intervento diretto della materia (realtà, oggetto, linguaggio ecc.) che fu propria delle avanguardie storiche.”

Questa tensione tra Futurismo, e la sua fascinazione per le macchine, il progresso e la tecnologia; e Antonin Artaud e il suo corpo glorioso, pulsante, erotico fa da sfondo all’interessante principale testo in catalogo di Caruso.
Costruito come un collage di auto-citazioni, nella sua frammentarietà organizzata per associazioni verbali e concettuali, fa riverberare nel catalogo il linguaggio inconscio, non nella forma della scrittura automatica surrealista, ma proponendo una analisi “dell’evoluzione del linguaggio poetico in contrapposizione al linguaggio capitalista/consumistico, in cui il corpo assume il ruolo di ultimo baluardo, trionfo della carne e dei sensi contro la perdita di contatto con la Madre dovuto all’alienazione causata dalla società contemporanea”.

Madre scritto con la maiuscola e quindi sostanzialmente rappresentazione del Mito del regressus ad uterum, condizione di integrità e completezza della freudiana Das Ding (la Cosa) che si presenterebbe senza buchi e accessibile.
Si tratta, in termini edipici, di quel mitico godimento che avremmo avuto se la madre fosse stata tutta per noi e non fosse venuto quel rompiscatole di padre a riattivare su di sé il desiderio della madre, separandoci così ineluttabilmente da quel famoso oggetto perduto che ricerchiamo sempre per tutta la vita anche se non è mai esistito.
In termini linguistici potremmo dire l’unità mitica tra significante e significato, tra cosa e linguaggio. In buona sostanza, l’intento è quello di annullare l’effetto di alienazione insito nel linguaggio stesso.

La fisicità e la materia del sottotitolo sottolineano quindi una contrapposizione, sviluppata come abbiamo visto nel programma del festival, tra ricerca di una sorgente poietica primordiale e pura, e la sua degradazione residuale e materiale, la “noia che ingenerano i cosiddetti nuovi prodotti estetici e la stessa ostinazione e monotonia della produzione” come scrive Stelio Maria Martini nel suo intervento.

In buona sostanza: ogni produzione, estetica, poetica, letteraria, non è che un resto, uno scarto, destinato nella sua materialità spuria a testimoniare solo parzialmente e marginalmente l’immaterialità dell’evento creativo o esperienziale.

Questa dicotomia: corpo/mente, gesto/parola, evento/testimonianza, glottide/magnetofono e via separando, è, a mio modesto parere, centrale in tutta la produzione della poesia sperimentale delle seconde avanguardie e passa proprio attraverso questa idea, espressa da Marcheschi nel su testo, di “superamento del linguaggio”, nel tentativo di “far sorgere una nuova sensibilità, prefigurando così una possibile “ipercomunicazione”, capace di coinvolgere tutti gli aspetti della nostra vita”.

Una ipercomunicazione sinestetica plurisensoriale invocata in diverso modo praticamente da tutti i poeti sperimentali: concreti, visivi, elementari, sonori, totali.

L’interessante intervento di Laura Marcheschi, che riprende, nella parte centrale, il testo già presentato dall’autrice nel fascicolo “Poesia Sonora no. 4” pubblicato in occasione dell’audizione di poesia sonora organizzata da Caruso e Marcheschi all’Arte Studio Ganzerli di Napoli nel maggio 1974 ci fa inoltre decisamente anticipare la gestazione concettuale del festival all’inizio degli anni Settanta, periodo delle audizioni e della pubblicazione dei fascicoli già ricordati.

Il testo in catalogo di Henri Chopin risale invece a circa 15 anni prima (1966) ed esprime la fiducia del poeta nei mezzi di registrazione per il futuro sviluppo di una nuova forma di poesia.
Il testo si chiude infatti con questa affermazione:
“Reste l’avenir? Où nous mène-t-il? Tout naturellement à la création de magnétophones, ou d’appareils enregistreurs de plusieurs timbres, qui devront remplacer l’instrumentation musicale, et celle aussi que j’ose noter l’instrumentation bucchale, celle de l’homme”

Una fiducia nella macchina come strumentazione in grado di captare e registrare le insondabili espressioni del corpo umano.
Perché Chopin è saldamente ancorato al corpo pulsione, fatto di carne, vene, sangue, umori che tenta di indagare attraverso l’uso dei microfoni.
Ancoraggio che è espresso bene in questa semplice asserzione che troviamo sempre nel suo testo in catalogo: “Écrire ne remplacera jamais un regard”.
Soprattuto se, seguendo l’insegnamento di Lacan, pensiamo all’oggetto-sguardo come ciò che indica che c’è qualcosa che pur appartenendo pienamente alla dimensione del visivo non possa essere visualizzata.
Oggetto-sguardo che causa desiderio, come, sempre per Lacan, l’oggetto-voce.
Che non solo non è in nessun modo assimilabile al discorso, ma non ha proprio niente a che fare con il parlare.
L’oggetto-voce è in relazione solo con il corpo e con il godimento.

Dove sono io nel dire? si chiede Lacan nel XIX seminario “Ou pire”
Prima dell’articolazione della parola, prima ancora che ci sia un messaggio da veicolare, c’è l’urgenza, la spinta, la necessita di dire. In buona sostanza: il reale del soggetto s’eclissa nel momento stesso in cui articola un significante che, oltre che rappresentarlo, lo inserisce in un discorso.

Questo è di fondo il tema che accomuna Caruso e Chopin sebbene i due artisti lo affrontino, e risolvano, in modi diversi.
Chopin infatti ha fiducia nella tecnologia e confida che essa permetterà un giorno di captare, e finalmente scrivere in modo esauriente, l’essere. Possiamo dire che Chopin ha un approccio scientista.
Mentre Caruso ha un approccio molto più filosofico, che non mira a chiudere la questione ma ad aprirla, a mantenerla pulsante, fonte inesauribile di creazione.

Per questo mi sono divertito a tratteggiare questo ipotetico botta e risposta tra i due poeti. Attraverso di esso è possibile tratteggiare due differenti approcci riconoscibili in gran parte della produzione artistica del XX secolo.

Grazie per l’attenzione.

 

Intervento presentato al convegno internazioonale:

“Expérimentation et avant-gardes. L’oeil ébloui de Noëmi Blumenkranz-Onimus et Luciano Caruso”

6-7 Ottobre 2022

Campus Carlone, NIce