Fluxus in Italia. Una lunga storia d’amicizia

Conferenza al “Valencia Photo Festival” – 28 Settembre 2025

________________________

La serie di concerti organizzati da George Maciunas a Wiesbaden nel 1962 con il titolo “Fluxus Internationale. Festspiele Neuester Musik” sono considerati l’evento inaugurale, il momento di nascita, il big bang, di Fluxus.
Grazie soprattuto ad una serie di foto che ritraevano alcuni partecipanti nell’atto di distruggere un pianoforte, atto estremamente iconoclasta e scandaloso dato che si trattava pur sempre di una serie di concerti, la manifestazione di Wiesbaden ebbe una notevole risonanza sulla stampa.
Ciò non significa che ebbe anche un successo di critica o commerciale.
Forse è vero il contrario.
Comunque, ciò che volevo mettere in evidenza in questo mio intervento che ha per titolo “Fluxus in Italia”, è che a questo momento inaugurale l’Italia era presente.
Innanzi tutto con Giuseppe Chiari e Sylvano Bussotti, musicisti fiorentini, che non furono presenti fisicamente, ma con alcune loro composizioni eseguite durante la manifestazione.
In secondo luogo con Olivetti, il famoso imprenditore, a cui Maciunas stesso dedica una sua azione : “In memoriam to Adriano Olivetti“.

Quindi l’Italia è in Fluxus dall’inizio.
A ben vedere, dando retta alle numerose classificazioni redatte da Maciunas, i suoi famosi diagrammi sulle origini di Fluxus, l’Italia c’era anche prima della sua nascita. Maciunas elenca infatti tra gli “antenati” di Fluxus: i giochi circensi dell’antica Roma, la commedia dell’arte e, chiaramente, il Futurismo.
In ogni caso, non alimentiamo mitologie e rimaniamo ai fatti.

Quindi. I fatti:
Nel 1964, due anni dopo lo storico concerto di Wiesbaden, venne organizzata da Daniela Palazzoli e Gianni Emilio Simonetti la prima esposizione / concerto Fluxus in Italia: “Gesto e segno” alla Galleria Blu di Milano.

Quindi il virus Fluxus arriva molto presto sulla nostra penisola e vi si insedia comodamente.
Tant’è vero che è ancora lì. Lo testimonia ad esempio la Fondazione che io dirigo, la Fondazione Bonotto, che conserva una delle collezioni Fluxus più grandi d’Europa. E che ha come scopo la diffusione del morbo !

Bene, poco dopo il suo arrivo il virus inizia a manifestarsi.
Nel 1967, la coppia Palazzoli-Simonetti fonda le Edizioni Ed.912.
Nate come filiazione dell’ARCH.DO ovvero “archivio di documentazione sull’arte contemporanea” curato da Palazzoli-Simonetti insieme a Gianni Sassi, Sergio Albergoni, Till Neuburg, Angelo Sganzerla, le Ed.912, attive tra il 1967 al 1969, sono le prime edizioni italiane direttamente collegate alle Fluxus Editions fondate da George Maciunas negli Stati Uniti.

In qualche modo ne rispettano lo spirito di democratizzazione dell’arte, proponendo degli oggetti economici, realizzati con materiali poveri.

Le Ed.912 oltre alle due riviste “Da-a/u delà” e “Bit“, pubblicano in fatti alcuni piccoli oggetti e, soprattutto, numerosi posters organizzati in collane: “No.”, “Erothica”, “Situazione”, “Cruelty, “dEDsign” etc.
Strizzando l’occhio alla cultura rock giovanile, le Ed.912 cercano attraverso questo mezzo estremamente popolare ed economico, di diffondere l’estetica Fluxus e Situazionista, ricerca a cui Simonetti si era avvicinato negli anni precedenti.

Parallelamente, sempre ad iniziare dal 1967, vengono organizzati anche i primi concerti Fluxus in altre città italiane: Milano, Gallarate, Genova, Roma seguite poi nei primi anni Settanta da Firenze, Brescia, Napoli, Macerata.
Il virus si diffonde e contagia.

Nel 1971 nasce, sempre a Milano, Multhipla, uno spazio non-commerciale per mostre e performances.
Fondato e diretto da Gino Di Maggio, Multhipla è il primo spazio a ospitare a Milano performance di Walter Marchetti e Juan Hidalgo, Takako Saito e Wolf Vostell.
Multhipla si trasforma anche in ristorante per le serate astro-gastronomiche del “Restaurant du coin du restaurant” di Daniel Spoerri.
Nel corso degli anni, ospiterà performance e mostre di artisti come: Geoffrey Hendricks, Robert Filliou, George Brecht, Robert Watts, Nam June Paik, Charlotte Moorman, G.E.Simonetti, Sergio Lombardo, Oyvind Fahlström, Giuseppe Chiari, Joe Jones, Ben Vautier, Renato Mambor e altri.
Accanto allo spazio espositivo, la “dependance” è occupata dalla tipografia per la produzione di materiale editoriale, libri ed edizioni numerate di grafiche.
Ricordiamo almeno la cartella “Ten serigraphies” di Oyvind Fahlström del 1974 e l’edizione “V 40 (Vostell 40 Jahre alt)” di Wolf Vostell del 1976: una valigia di 63 x 82 x 11 cm., contenente 10 serigrafie e diversi oggetti, tra cui una radiolina, una mandibola di animale e un termometro.

Con il nome di Multhipla Records pubblica invece anche una serie di dischi di autori Fluxus, come Milan Knizak e Wolf Vostell, ma anche alcune rarità come The Entire Musical Work Of Marcel Duchamp. L’esperienza della Multipla Records confluirà nelle mitiche edizioni CRAMPS Records fondate da Gianni Sassi e Sergio Albergoni nel 1972.
Multhipla rimane attiva come spazio espositivo fino al 1976 cambiando poi nome in MUDIMA.

Nel 1975, Multhipla e la rivista Flash Art, fondata nel 1967 a Roma da Giancarlo Politi e trasferitasi a Milano nel 1971, pubblica “Fluxpack 3“, terza ed ultima antologia di opere Fluxus curata direttamente da George Maciunas.

L’antologia venne realizzata ma non è chiaro né l’ammontare della tiratura dei singoli contributi né quante copie vennero effettivamente assemblate nel tubo di cartone scelto da Maciunas come contenitore. Dell’edizione completa esiste una sola foto in bianco e nero e alcune pubblicità di lancio pubblicate su alcune riviste underground italiane dell’epoca.
Nonostante le difficoltà e questa incertezza di fondo sull’effettiva tiratura, “Flupxpack 3” è sicuramente la pubblicazione Fluxus più importante realizzata in Italia.
Dopo “Fluxus 1” del 1964 e “Fluxyearbox 2” del 1966, “Fluxpack 3” del 1975 è la terza e ultima pubblicazione della storica serie Fluxyearbook curata in tutti i suoi dettagli da George Maciunas.
Di fatto costituisce l’ultima grande operazione editoriale Fluxus (Maciunas).
E non è un caso che avvenga in Italia.
Infatti, pochi anni prima, erano iniziate le straordinarie avventure di due giganti dell’editoria Fluxus italiana: Rosanna Chiessi e Francesco Conz, che cambiarono le regole del gioco.

Nel 1971 Rosanna Chiessi fonda a Reggio Emilia le Edizioni Pari&Dispari.
Dopo l’esperienza della Galleria Il Portico, dove sviluppa un lavoro con artisti concettuali italiani, poeti visivi e body-artists, Chiessi decide d’iniziare un’attività editoriale a cui affianca l’organizzazione di eventi, festival ed esposizioni.
Nel 1973, probabilmente in seguito all’incontro con Francesco Conz, entra in contatto con il movimento Fluxus e l’Azionismo Viennese a cui consacrerà molte delle sue iniziative editoriali.

Parallelamente, nel 1972, l’imprenditore e collezionista Francesco Conz fonda ad Asolo le omonime edizioni sviluppando un serrato programma dedicato ai principali movimenti di neo-avanguardia: Fluxus, Azionismo Viennese, Lettrismo, Poesia Concreta, Poesia Visiva, Poesia Sonora, Zaj e Gorgona.

Rosanna Chiessi e Francesco Conz, nei primi anni di attività, agiscono in stretta collaborazione. Tanto che alcune edizioni dell’epoca sono tutt’ora di difficile attribuzione.
Al duo si unisce un terzo partner: Peppe Morra.

Già attivo a Napoli con la sua galleria, che propone un programma estremamente interessante e vivace con artisti come Gina Pane, Geoffrey Hendricks, Luciano Caruso, Allan Kaprow, Giuseppe Desiato, Charlotte Moorman, Stelio Maria Martini, Marina Abramović, Emilio Villa, Hermann Nitsch, entra in contatto con Chiessi e Conz con i quali sembra potersi concretizzare una vera e propria joint venture tesa alla realizzazione di importanti edizioni.

Esistono delle straordinarie foto dei primi anni Settanta dove, attorno alla stessa tavola, si possono vedere discutere e divertirsi: Beppe Morra, Rosanna Chiessi, Francesco Conz, Hermann Nitsch, Carolee Schneemann, Joe Jones, Gerhard Rühm e Giuseppe Desiato.
Purtroppo tale sodalizio non ebbe fortuna. I forti caratteri di Chiessi, Conz e Morra portarono evidentemente all’impossibilità di una collaborazione serena e costruttiva. Restano però alcuni straordinari oggetti creati in quel periodo, in cui le conoscenze tecniche di Francesco Conz, che all’epoca era proprietario di una falegnameria ed era in contatto con una grande rete di raffinati artigiani, si sommano alle capacità relazionali e promozionali di Chiessi e Morra creando degli oggetti estremamente raffinati e lussuosi.

Da ricordare inoltre la partecipazione congiunta a Artefiera ’76 con un programma di una settimana di performance che diede l’idea a Renato Barilli di organizzare, l’anno successivo, la famosa “Settimana Internazionale della Performance di Bologna”.

Tutte queste edizioni ed iniziative furono possibili grazie alle strette relazioni di amicizia e collaborazione che hanno caratterizzato queste esperienze. Non si trattava del classico rapporto editore-autore in cui il primo commissiona, e paga, un lavoro sviluppato in autonomia dal secondo.
Questa distinzione di ruoli viene messa fortemente in crisi e liquidata da un nuovo approccio basato sull’amicizia, la collaborazione attiva, la contaminazione reciproca.
Gli editori italiani, in particolare Chiessi e Conz, ma non dovremmo più definirli così bensì adottare il termine mecenati, entrano prepotentemente nel processo creativo suggerendo materiali, sviluppando temi e determinando così la forma e il risultato finale dell’opera
I progetti nascono quindi dalla discussione, dall’interrelazione, dallo scambio ed è difficile definire se l’idea arrivi dall’artista o dall’editore o, ancora, dal materiale a disposizione. Materiali che spesso, è bene ricordarlo e sottolinearlo, sono assolutamente inusuali per gli artisti, aprendo quindi le porte a nuove sperimentazioni.

In un video inedito della fine degli anni Novanta, Philip Corner sottolinea come, lavorando con Conz, l’artista avesse la possibilità di fare delle cose che non aveva mai fatto prima, perché Francesco proponeva di usare una determinata tecnica insolita, come nel caso di “Metelelementus“, l’edizione di campane a mano in bronzo realizzate da Philip Corner nel 1980. Proposta che inizialmente Corner rifiuta perché non si considera uno scultore bensì un musicista. Ma che poi accetta grazie alla tenacia e alla capacità persuasiva di Conz che conosceva le tecniche e le persone specializzate nella loro realizzazione.

Questo coinvolgimento attivo, in cui i concetti di incontro e collaborazione sono centrali, è sicuramente la chiave per comprendere appieno l’importanza di queste straordinarie storie italiane.
La grande capacità di creare un ambiente favorevole alla convivialità e allo scambio è ciò che ha permesso l’instaurarsi di rapporti che vanno ben al di là della mera produzione di alcuni oggetti, o del rapporto artista – collezionista, divenendo delle profonde amicizie.
In numerose testimonianze inedite, raccolte in occasione della commemorazione organizzata dopo la morte di Conz, ad esempio, ciò che viene messo in risalto dagli artisti è la sua completa disponibilità e collaborazione. Ben Patterson dichiara che era interessante lavorare con Francesco perché completamente aperto ad ogni proposta che sosteneva immediatamente cercando il modo di realizzarla. Mentre il Lettrista Alain Satié mette in evidenza che tutti i progetti sviluppati da Francesco dimostrano una grande e profonda conoscenza dell’artista con cui collaborava. Sono sempre progetti molto mirati, studiati su misura dell’artista coinvolto e per questo, in un modo o nell’altro, sempre realizzati.

Ma questo vale anche per Rosanna Chiessi.
Per entrambi si tratta di una collaborazione che si nutre di conoscenza diretta e approfondita dell’artista. Perché con l’artista si deve vivere: viaggiare assieme, mangiare assieme, ubriacarsi assieme, soffrire assieme. È un’esperienza da vivere in prima persona, rinunciando a ruoli accomodanti e non rischiosi, vivendola anzi sulla propria pelle, da protagonista e partecipe, mettendo in gioco tutto ciò che le apparteneva, l’attività, le opere, i soldi.
Un approccio che sposta il baricentro dalla produttività all’emotività trasformando le relazione di lavoro in relazioni più intime, durature, e a volte d’amore (nota la pluriennale relazione di Rosanna Chiessi e Dieter Roth).

Fluxus, in Italia, assume quindi le forme di una grande famiglia con tutte le sue classiche dinamiche: simpatie e antipatie, alti e bassi, litigi e riconciliazioni.
Ed è questo ciò che rende queste storie italiane così ricche e sorprendenti.

Coma quella delle Factotum Art Editions, fondate da Sarenco e Diego Strazzer a Verona nel 1977, ad esempio.
Esse sono il frutto di una stretta condivisione di intenti poetici e politici tra il suo principale artefice, il poeta visivo Sarenco, e gli artisti con cui collabora, tra cui Beuys, Brecht, Patterson, Williams (per limitarci a Fluxus), che sfocerà nella straordinaria esperienza della Domus Jani, il centro internazionale d’arte che vide la collaborazione anche dei già citati Beppe Morra, Rosanna Chiessi, Francesco Conz, Gino Di Maggio in un susseguirsi di mostre, performance, feste ed iniziative editoriali.

Altra straordinaria avventura è quella di Lucrezia De Domizio che, entrata in contatto con Joseph Beuys all’inizio degli anni Settanta, ha svolto un intenso e importante lavoro, in particolare nell’ambito della famosa “Operazione Difesa della Natura” (1972-1985) organizzando dibattiti pubblici divenuti ormai storici, allestendo mostre e creando a Bolognano (PE) la famosa “Piantagione Paradise” e producendo alcune edizioni iconiche di Beuys come il “Vino F.I.U.

Nasce così quella rete di relazioni e collaborazioni, a cui partecipano attivamente anche alcune gallerie, come la Unimedia di Caterina Gualco a Genova, raccontate in diverse pubblicazioni come, per citare un paio di esempi: Fluxus nel Veneto (1995) e Fluxus in Italia (2012).
La Unimedia di Caterina Gualco inizia la sua attività nel 1978 ed è stata protagonista di numerose importanti iniziative. Ricordiamo almeno la grande mostra organizzata al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova in occasione dei 40 anni della nascita di Fluxus che si espanse a tutta la città con mostre collaterali, concerti, cene e performances.
Un impegno che Caterina continua tuttora in modo dinamico ed energico.
Devo a lei, in effetti, la mia presenza qui oggi.

Altro membro di questa famiglia allargata è ovviamente Luigi Bonotto che, a partire dalla metà degli anni Settanta, inizia ad ospitare presso la sua casa e la sua azienda numerosi artisti Fluxus e della Poesia Concreta, Vista e Sonora internazionale. Si viene a costituire in questo modo la straordinaria collezione Bonotto, che non è frutto di una volontà di accumulo e di investimento, ma piuttosto la stratificazione mnemonica di una esperienza di vita.
L’amicizia instauratasi in lunghi anni di frequentazione ha permesso alla famiglia Bonotto di divenire la depositaria di fiducia di molti artisti che hanno lasciato a casa dell’amico preziosi materiali provenienti direttamente dagli archivi personali. L’inconsapevole accumulo di libri e cataloghi, sia realizzati che rimasti in forma di bozza, brochures di mostre, inviti, manifesti, audio, video, epistolari ed ephemera, ha costituito quella che oggi conosciamo come collezione Bonotto.

A seguire e documentare tutto ciò che succedeva c’era un fotografo, eccentrico e curioso, di nome Fabrizio Garghetti.
Certo non è stato l’unico a seguire le vicende Fluxus in Italia. Ma pochi hanno avuto la sua costanza che lo ha portato così a divenire parte di questa grande famiglia Fluxus. Cosa che gli ha permesso di realizzare degli scatti straordinari, inconsueti, giocosi in cui gli artisti si dimenticano dell’obbiettivo fotografico e si lasciano prendere dall’estro del momento.
Alcuni scatti di Fabrizio sono presentati in mostra nell’ambito del Valencia Photo Festival quest’anno e vorrei quindi finire il mio intervento raccontando alcuni aneddoti legati ad alcuni di essi.

Partiamo da una foto di Ben Vautier.
Siamo nel 1972 e Fabrizio Garghetti documenta una delle prime mostre di Ben in Italia, alla Galleria Bellora di Milano, che in quegli anni propone un programma molto attento alle nuove avanguardie. Questa serie di fotografie testimoniano anche l’inizio dell’attività documentativa di Garghetti che da quel momento in poi sarà sempre presente alle iniziative Fluxus in Italia.
Anche private
Come si vede in un’altra serie di fotografie del 1979.
Qui siamo a casa di Francesco Conz a Verona, il quale organizzò una cena di saluto per Robert Filliou prima che entrasse nel convento buddista a Les Eyzies in Francia, dove visse per 3 anni 3 mesi e 3 giorni.
Alla cena parteciparono: Dick Higgins, Joe Jones, Emmett Williams, che improvvisarono una serie di performance in onore di Filliou.

O ancora nella straordinaria serie di fotografie scattate a casa di Gianni Sassi, il famoso grafico e organizzatore culturale milanese, mentre cucina con John Cage e Merce Cunningham.

Le fotografie di Garghetti non sono mai banali documentazioni di un evento, di una mostra o di una performance. In esse c’è sempre una sorta di complicità tra l’artista ritratto e il fotografo, alimentata da una profonda conoscenza del lavoro dell’artista che permette a Garghetti di cogliere l’attimo giusto della performance. Anche in questo caso, emerge chiaramente, che non si tratta di una relazione professionale ma di una relazione d’amicizia e stima reciproca.
Caratteristica che definisce fortemente la storia di Fluxus in Italia.

Conferenza al “Valencia Photo Festival” – 28 Settembre 2025