Cinquant’anni d’inquietudine. La poesia visiva di Lamberto Pignotti

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Cinquant’anni d’inquietudine. La poesia visiva di Lamberto Pignotti

Catalogo Galleria Clivio, Milano, 29 settembre 2016

 

A cinquant’anni dalla sua nascita “ufficiale”, la Poesia Visiva non sembra aver perso di vitalità. Se si allargasse poi il campo e si prendesse in considerazione anche la poesia concreta, la poesia sonora, la poesia azione, etc. ci si renderebbe conto che tale ambito di ricerca, non solo è vivo e in forma, ma che ha spesso anticipato alcune traiettorie di sviluppo dell’arte del Novecento.

A fronte di una tale influenza, la Poesia Visiva, tende ancora ad essere minimizzata e costretta in un ambito specialistico che di fatto cerca di negarne le implicazioni. La mai sopita discussione se tali ricerche siano da considerare letteratura o arte figurativa segna ancora le speculazioni di gran parte della critica che, di fondo, si nasconde dietro tale difficile determinazione per sbarazzarsi della problematicità che l’intermedia ha di fatto aperto in tutta la produzione artistica del Novecento. 

Il concetto di intermedia, introdotto da Dick Higgins oramai cinquant’anni fa, non si riferisce certamente alla sola poesia, ma al contrario permette una lettura più precisa di un fenomeno che deve necessariamente essere letto all’interno di una più complessa riorganizzazione del mondo dell’arte e, soprattutto, dei suoi canoni estetici. Se è vero che concetti quali bellezza, forma, equilibrio hanno lasciato spazio ad altre determinazioni estetiche, è altrettanto vero che il concetto di intermedia ha fornito una via di possibile indagine di tale riorganizzazione.

Che poi tale riorganizzazione sia partita dalla poesia non ha niente di straordinario, visto che l’approfondimento delle possibilità espressive del linguaggio sono alla base di ogni evoluzione soggettiva e collettiva. 

Ora, quindi, a distanza di cinquant’anni dalla nascita “ufficiale” della Poesia Visiva c’è da chiedersi perché tale forma espressiva sia ancora così difficilmente accettata nella sua specificità e complessità e venga costantemente ridotta, in un modo che non può più essere considerato dovuto all’ignoranza, ad unamanifestazione sperimentale con forte componenti goliardico-dissacranti, se considerata da un punto di vista letterario; retrò se considerata da un punto di vista figurativo. Vale a dire che i collages della Poesia Visiva sono solitamente considerati legati ad un determinato periodo storico e così le componenti smaccatamente provocatorie, politiche, surreali e divertenti, vengono rapidamente banalizzate e misconosciute perché ridotte a manifestazioni di tale epoca di contestazione e sperimentalismo. Non è un caso che spesso, anche in importanti mostre che cercano di fare il punto sull’arte italiana del Novecento, le opere di Poesia Visiva siano presentate in una sorta di accumulo insensato ed illeggibile, in cui le tavole sono accostate  e riempiono tutta la parete, con il risultato formale delle stanze coperte di manifesti degli adolescenti. 

Detta in modo ancora più netto: lo iato che si è aperto nel linguaggio come possibilità di nominazione, di identificazione e di strutturazione del soggetto nel mondo (tema centrale di tutta la produzione poetica sperimentale del Novecento) è volutamente ridotto ad una crisi sociale di identificazione ai modelli proposti dalla società negli anni Sessanta. Discorso che lega inevitabilmente tale produzione ad un determinato periodo e contesto storico (boom economico e rivolta giovanile) evitando così accuratamente di approfondirne la dimensione atemporale e universale. 

E’ innegabile che la “poesia tecnologica”, come la definì Lamberto Pignotti, sia figlia del suo tempo, ma ridurla a questo è a mio avviso fuorviante e meschino.

Molte scienze o pratiche del e di linguaggio hanno avuto un ampio sviluppo nel corso del Novecento (linguistica, semiotica, psicoanalisi) proprio indagando le ambiguità, le false rappresentazioni e la struttura stessa del linguaggio ne più ne meno di come ha fatto, nel modo che le è pertinente, la poesia. Il problema sta effettivamente tutto qui, nel modo.

Se linguistica, semiotica e psicoanalisi, si sono limitate ad una lettura critica e teorica del fenomeno linguistico, proponendo teorie sul simbolico e sul suo utilizzo, sulla comunicazione, etc., la poesia ha agito direttamente sul materiale linguistico andando a minarne le basi dualistiche e associative consolidate e sforzandosi di creare nuovi orizzonti simbolici. 

La Poesia Visiva non ha solo svelato le ambiguità e le contraddizioni insite nel linguaggio massificato ma ha cercato delle nuove strutturazioni simboliche che potessero andare oltre le impasse denunciate. Un’azione che non può essere ridotta ad un preciso momento storico, sebbene proprio da quel momento storico il linguaggio massificato e propagandistico è divenuto dominante. La poesia visiva propone una attenzione ed una analisi del linguaggio che ne svela le implicazioni profonde e il linguaggio pubblicitario si è presentato ai poeti visivi come il campo privilegiato di lavoro, potremmo dire seguendo uno sforzo didattico ed esemplificativo. In effetti, la pubblicità ha da sempre utilizzato la potenza delle immagini per proporre modelli di identificazione. A partire dagli anni Cinquanta ha poi iniziato ad invadere ogni ambito, in particolare quello politico, con la conseguenza di modificare radicalmente, e apparentemente in modo irreversibile, il paradigma di lettura del mondo: da un mondo da capire a un mondo da vendere, dalla gnoseologia alla merceologia.

La potenza persuasiva del sintetico linguaggio pubblicitario è penetrata così in profondità nella società contemporanea che una sua messa in discussione sembra essere un taboo.

L’analisi critica della società dei consumi ha evidenziato che la pubblicità non reclamizza prodotti ma modelli di vita.  Un modello che si esprime in poche parole evocative utilizzate in modo indiscriminato.Questi modelli di vita, che spesso sono modelli di consumo, sono acquisiti ed assunti dalla società senza pensiero critico divenendo così anche modelli identificativi.

La questione è sempre la stessa. Riguarda il rapporto dell’uomo con la parola. Parola che ne determina la sua stessa essenza ma che, inesorabilmente, lo aliena. Il parlessere, come l’ha definito Lacan, è questo strano animale che ha facoltà di parola. È quindi libero di parlare? Certo può starsene anche muto, ma ciò non toglie che sia comunque a bagno nel linguaggio. L’uomo, in quanto parlessere, è a bagno in quell’universo simbolico che lo determina. Esso non può sottrarsi alla parola, al linguaggio. Non è quindi né libero di parlare, né libero di tacere (dato che anche il suo silenzio è parola, come bene indicava Eugenio Miccini in molte sue opere) ma bensì condizionato, influenzato, ordinato dal linguaggio.

In questa prospettiva, la Poesia Visiva suggerisce istruzioni supplementari per comprendere i modelli di comportamento imposti nel nostro sistema occidentale, per capirne l’universo simbolico in cui siamo costretti a nuotare.

Un discorso profondamente politico e molto più complesso dello sperimentalismo goliardico….

Lamberto Pignotti è un maestro della Poesia Visiva. 

Un maestro sia nella sua pratica artistica e sia nella sua pratica teorica. A lui si deve la definizione di “poesia tecnologica”, che contraddistinse il gruppo fiorentino all’inizio degli anni Sessanta, ed alcuni dei più importanti scritti teorici sulla ricerca verbovisiva italiana ed internazionale. Pignotti, da maestro, sperimenta e teorizza l’idea di una poesia tecnologica fatta di frammenti di scritture e figure tratte da rotocalchi, fumetti, fotoromanzi, messaggi pubblicitari e manifesti politici e questa mostra offre la possibilità di seguirne l’evoluzione: dalle prime composizioni del 1963 alle tavole del 2014. Cinquant’anni di instancabile e attento lavoro, caratterizzato da una inesauribile verve ironica e da un impegno civile che sviluppa una attenta lettura della vita sociale e politica della nostra penisola. 

Sfogliare i libri e i cataloghi di Pignotti equivale ad aprire un divertito, ma amaro, album della storia recente d’Italia. Le tavole ci restituiscono momenti storici precisi: il boom economico degli anni Sessanta (Riunione al vertice, 1964) con le sue contestazioni (Non sparate, 1967) e le controverse conquiste femminili (La signorina grandi firme, 1965), l’alluvione di Firenze (Souvenir, 1969), l’edonismo degli anni Ottanta (la serie delle de-composizioni) fino agli enigmatici primi decenni del XXI secolo (la serie degli iper-rebus).

Sin dai suoi primi lavori emerge una particolate attenzione alle immagini fotografiche pubblicate tratte dai quotidiani. La sua selezione predilige immagini che condensano, spesso in modo paradossale, alcuni avvenimenti di cronaca che sono patrimonio comune della nostra cultura storica nazionale. Il lavoro di Pignotti tende ad isolarle, estraniandole dal contesto di provenienza, riducendole a pure icone. Un lavoro che sottrae l’immagine alla dinamica mercificante insita nel discorso del capitalista. Da immagini di consumo, usa e getta, grazie alla semplice operazione di estrazione, ritornano ad essere immagini della memoria colletiva.

La serie “Souvenir”, ad esempio, sviluppa un lavoro sulla memoria storica nazionale che si avvale di questa semplice quanto radicale tecnica. Ogni immagine selezionata dall’artista evoca un preciso avvenimento di cronaca o di politica che ha fatto discutere, indignare, emozionare l’Italia. Il titolo e le didascalie che le accompagnava sono sostituite dalla semplice data. In questo modo ogni lettura, sia essa politica, sociologica, moralistica, religiosa è sospesa e le immagini retinate, sgranate, in bianco e nero, nella loro povertà restituiscono anche fisicamente la flebilità della nostra memoria storica. 

L’italiano non ha memoria. Dimentica facilmente ciò che lo ha fatto indignare ed è pronto a dimenticare ogni bassezza e raggiro operato dal vincente di turno.  I ricordi sbiadiscono, svaniscono, soffocati da interminabili iter giudiziari, acrobatiche evoluzioni politiche e lesti ripensamenti: Franza o Spagna pur che se magna.

Non è un caso quindi che una selezione di opere della serie “souvenir” sia stata riunita da Pignotti in un libro di recente pubblicazione dal titolo “Diario corale”.  Perché effettivamente di questo si tratta, di una annotazione giornaliera in cui tutti ci riconosciamo. 

Evocare l’Italia e la sua storia recente è uno dei motori interni dell’opera di Pignotti. Ma non per dimenticarla, come dice una sua opera. Al contrario la sua opera è una incessante cura della memoria collettiva. Una cura che tende a liberare i ricordi (le immagini) dalle condizionanti interpretazioni che le accompagnavano restituendoci la possibilità di una nuova lettura. 

L’operazione di ri-significazione delle immagini, che è la specificità del lavoro di Pignotti, si riduce all’osso nella serie “Visibile-Invisibile”. Non sono più necessari elaborati collages. Il lavoro di Pignotti arriva ad una sintesi che è da osservare attentamente perché esprime in sé qualcosa di peculiare, fondante e che sembra imporsi al poeta fiorentino come necessario. 

Le immagini sono estratte dai rotocalchi di moda, vale a dire da quelle riviste che negli anni Ottanta hanno dominato il mercato editoriale, imponendosi a più livelli, e che hanno contribuito al consolidamento della società consumistica e alla definitiva feticizzazione del bene-merce. Pignotti, con estrema lucidità, identifica nell’immagine del corpo femminile il nucleo del sistema bisogno-acquisto che sfrutta il desiderio erotico dell’acquirente. La serie “Visibile-Invisibile” costituisce quindi una vera e propria azione militante tesa a svelare le implicazioni dell’utilizzo dell’immagine del corpo femminile. (1) Ciò che è visibile sulla pagina, il corpo femminile appunto, associato al messaggio pubblicitario stesso, veicola qualcosa di più profondo: una identificazione e un modello di vita. Ciò che Pignotti svela con la sua operazione è la perversa tendenza a creare bisogni artificiali, insita nella logica propagandistica, che plasmano e condizionano il vivere quotidiano innescando un processo di inclusione/esclusione al modello proposto. L’idea di “guerriglie semiologica” proposta da subito come chiave interpretativa della poesia visiva, trova qui una sua applicazione implacabile. La Poesia Visiva decostruisce il sistema simbolico imposto dai mass-media, ne svela i perversi meccanismi che lo reggono e propone nuove prospettive di pensiero, nuovi sistemi simbolici elaborati.

Il cinquantennale lavoro sviluppato da maestri come Lamberto Pignotti libera il linguaggio dalle sovrastrutture propagandistiche (siano esse dettate da ragioni politiche o di mercato) restituendo alla parola e alle immagini la possibilità di sorpresa. Lo stupore, spesso accompagnato dal sorriso che ne evidenza la scarica di piacere, apre così la possibilità di un pensiero libero e nuovo.

Patrizio Peterlini

Agosto 2016

(1) All’icona femminile come feticcio condensante in sé tutte le possibili immagini dell’oggetto desiderabile, Pignotti aveva dedicato un saggio del 1978: “Marchio & Femmina. La donna inventata dalla pubblicità”, ed. Vallecchi.